giovedì 26 marzo 2015

 

RICCARDO MUSACCHIO
unfoldingroma.com

“Fotografare la musica, il teatro, la danza significa cercare di toccare quello che non è tangibile, l’emozioni che l’arte provoca e che stimola tutti i sensi dalla vista all’udito passando anche per il tatto e l’olfatto”.


A metà marzo 2015 l’Auditorium Parco della Musica durante la festa del libro “Libri Come” ospiterà una mostra fotografica legata all’evento e intitolata “AUTOritratti”. Uno degli autori è Riccardo Musacchio, giornalista, publicista romano e  fotografo ufficiale dello stesso Auditorium e dell’Orchestra di Santa Cecilia che ad Unfolding Art Magazine Roma racconta questo eccezionale progetto, ricordando tutti i suoi successi precedenti, partendo dal debutto a vent’anni. Musacchio prima di fotografare gli spettacoli, danza e dive come Elton John, Eleonora Abbagnato o Placido Domingo ha collaborato per anni con La Repubblica, il Corsera, Il Messaggero, L’Unità, il Teatro dell’Opera di Roma, L’Accademia Filarmonica e con la Santa Sede durante gli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II.  Da qualche anno si avvale della preziosa collaborazione di un altro fotografo, Flavio Ianniello, che ha portato un prezioso contributo di idee ed energie.



 
 
 

Con quali testate hai collaborato finora? Ricordi ancora il tuo debutto?

Difficile trovare un vero e proprio debutto. Come spesso accade, si inizia amatorialmente e a volte accade di pubblicare su un giornale la prima foto. Mi ricordo era un quotidiano, Il Giornale D’Italia e la foto era scattata all’inaugurazione di una fiera al Palazzo dei Congressi a Roma. Un fotografo d’agenzia aveva “bucato” il momento inaugurale perché stava cambiando la pellicola e l’ufficio stampa della manifestazione ha usato la mia. Sono passati più di 30 anni e sono ancora miei clienti! All’epoca avevo 20 anni e ne dovevano passare almeno altri 5 o 6 in cui alternavo lavoro e università per poi iniziare nel 1990 la professione in modo esclusivo. Come tutti i colleghi che si occupavano di foto-giornalismo, il riferimento principale erano i quotidiani a Roma e le agenzie di stampa a Milano. I miei principali erano La Repubblica, il Corsera, Il Messaggero e L’Unità; la mia agenzia era la storica Farabolafoto per poi passare successivamente in Grazia Neri. Ora, lavorando con gli uffici stampa,  ho pubblicato su migliaia di quotidiani e magazine sia cartacei che web. Da subito ho pensato che lo spettacolo fosse il mio genere di fotografia, era una passione ancor prima di diventare professionista. Però non mi sono diretto nello spettacolo televisivo dove gravitava la quasi totalità dei colleghi romani (le altre due grandi categorie professionali romane erano, ovviamente, la politica e lo sport). Io mi occupavo principalmente di concerti dal vivo e, casualmente, ho iniziato a tenere d’occhio l’Orchestra di Santa Cecilia e il Teatro dell’Opera di cui seguivo con grande assiduità tutte le programmazioni e le prove. A distanza di tanti anni, posso dire che questa è stata una vera fortuna. Frequentare questo tipo di ambiente così distante dalle grandi masse, così introverso e difficilmente accessibile, ha fatto in modo che diventassi un punto di riferimento e di attenzione sia per i giornali che per gli uffici stampa. Con il Teatro dell’Opera ho collaborato per più di 10 anni e ancora ora accompagno l’Orchestra di Santa Cecilia come fotografo ufficiale.

Diventare il fotografo ufficiale di un posto meraviglioso come l’Auditorium Parco della Musica ti ha creato dei malumori con altrui?

L’Auditorium Parco della Musica di Roma è nato proprio per dare una sede stabile all’Orchestra di Santa Cecilia ma il progetto di Renzo Piano così esteso in diverse sale ha fatto in modo che si ampliasse la programmazione anche per moltissimi altri eventi culturali. Essere fotografo di Musica per Roma, società che gestisce l’Auditorium, immagino che sia un’aspirazione di tutti quelli che fotografano nel mio settore per cui è ovvio che molti vorrebbero essere al mio posto ma non mi sembra di aver mai avuto discussioni o malumori manifestati da colleghi, almeno non diretti.

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